La mia avventura in Guinea Bissau

 

È sempre difficile, al termine di un lungo viaggio, cercare di portare agli altri un po’ della propria esperienza, che sembra sfuggire alle parole,essendo ben più ricca di quanto esse possano esprimere. D’altra parte, non si può tacere, e davvero da quando sono tornata dall’Africa non riesco a intrattenere una conversazione senza citare questa terra.

Dopo un periodo di preparazione che ora posso giudicare indispensabile, in Ottobre finalmente sono partita alla volta della Guinea Bissau, dove sono rimasta con gioia per sei mesi, coronando a diciannove anni un sogno che avevo fin da bambina; ad accompagnare il mio primo volo in aereo e primo viaggio fuori dal continente, Padre Giorgio, un padre missionario diretto come me a Quinhamel.

Dopo aver sorvolato per qualche ora un’Africa “nera” in tutti i sensi, senza alcuna luce (eccetto le stelle) ad illuminare la notte, all’aeroporto di Bissau sono stata accolta molto calorosamente da Sr. Luigina e Sr. Adelia della congregazione francescana missionaria del Cuore Immacolato di Maria, che per tutto il tempo, assieme alle altre suore della comunità, mi hanno più che ospitato, facendomi sentire dentro una famiglia e rendendomi partecipe della loro vita, proprio come una di loro.

La missione di Quinhamel è composta da una casa per le suore (ed eventuali volontari) affiancata da alcune stanze dove abitano delle bambine o ragazze scappate dalla famiglia per motivi vari (spesso per sfuggire a matrimoni combinati in cui la bambina viene venduta come una schiava allo sposo già adulto), un ospedale pediatrico e una scuola. La mia attività si è svolta tra questi ambienti, tentando di aiutare le suore nei piccoli lavori che potevo fare, occupandomi sopratutto dei bambini ricoverati in ospedale, in particolare due gemelli di due anni, Tarsio e Tassia, la cui mamma non poteva accudirli a causa di una malattia mentale. Gravemente denutriti, li ho visti trasformarsi di giorno in giorno grazie alle cure e all’amore di Sr. Ana Cecilia, infermiera instancabile che senza la presenza di alcun medico porta avanti con Sr. Monica l’intero ospedale, ed è stata una grande gioia essere lì per contribuire con un po’ del mio tempo e affetto.

Nonostante fossi stata adeguatamente informata circa la realtà del luogo, il primo impatto non è stato facile: il clima caldo umido mi toglieva un po’ le forze, la diversità di cultura, ambiente, ritmo di vita mi disorientava, il mondo che pian piano si svelava sotto i miei occhi mi sembrava la scenografia di qualche film, non la realtà. All’inizio ero impaurita dalla diversità con cui mi scontravo in ogni angolo ed incredula davanti alla povertà che mi scandalizzava. Mi chiedevo: come si può vivere così?…Dappertutto vedevo miseria: bimbi trattati senza alcuna cura e amore dai genitori, sporchi, denutriti; case di terra con il tetto di paglia, a volte senza porte e sempre senza comodità (niente acqua in casa, arredamento, letto…); bambini e adulti con gravi disabilità mentali abbandonati a se stessi, maltrattati, emarginati; ma la miseria certamente più pericolosa era l’ignoranza, a causa della quale ad esempio molti bambini morivano poiché, malati, venivano portati dallo “stregone” del villaggio anziché nell’ospedale, oppure molte persone malate di AIDS continuavano ad avere rapporti sessuali senza preoccuparsi di proteggere il partner e i figli, diffondendo a macchia d’olio la malattia, e molto altro ancora che finiva col rendere inutili tanti sacrifici di missionari che danno veramente la vita, il cuore,tutto per gli altri. Proprio grazie a questi ultimi con il tempo ho iniziato a diventare sensibile anche alla bellezza di questo Paese che non ha davvero tutto da cambiare, ma molto da insegnare anche a noi: quanta gioia di vivere in questa gente semplice, socievole, che non conosce la solitudine e l’ipocrisia! Quanta purezza e spontaneità nei bambini che mi seguivano ovunque andassi, mentre ridendo mi prendevano in giro dicendo “blanco pelelè”, che significa più o meno “bianco che più bianco non si può”, riferendosi alla carnagione della mia pelle.

Ma la ricchezza più grande che questa esperienza mi ha lasciato mi è stata data dall’esempio delle suore missionarie che mi sono state accanto come delle madri. Quanti esempi di eroismo e autentico spirito cristiano ho potuto ammirare e ancora oggi mi spingono a crescere! Ciascuna religiosa che ha condiviso con me un po’ della sua esistenza è stata un grande dono e una maestra di vita, senza la quale non avrei avuto la forza di alzare lo sguardo dalle brutture e dalle condizioni drammatiche di vita per vedere la bellezza di un modo di essere diverso dal mio ma non inferiore, una povertà più appariscente ma presente in altre forme anche nei nostri Paesi del Primo Mondo, di vedere, oltre la sofferenza inspiegabile e sconvolgente dei bimbi, la mano di Dio che, attraverso i missionari, non dimentica alcuna sua piccola creatura.

Vivendo e combattendo insieme agli altri in terra di missione ho intravisto quanta gioia è nascosta tra le ferite di una persona che soffre, qualsiasi sia il motivo e la nazionalità, se si ha il coraggio di non scappare davanti al male, ma di uscire da sé e dal proprio egoismo per donarsi e offrire il meglio che abbiamo in noi, senza compromessi e risparmi. È questa la vera gioia, da conquistare ogni giorno a caro prezzo ma dal valore inestimabile perché viene dal cuore di Dio, e si chiama amore. Qui ho sperimentato che non esiste amore senza sacrificio, e davvero è molto faticoso vincere l’amor proprio, a cominciare dalla difficoltà di ascoltare i consigli dei missionari evitando di agire di testa propria.

Lontano dall’averla raggiunta, posso dire che questo viaggio mi ha aiutato a individuare la meta verso cui orientare la mia vita, consapevole di aver ricevuto gratuitamente molto da portare a casa senza aver dato nulla in cambio. Grazie a tutti che mi hanno aiutato prima, durante e dopo questa bellissima esperienza!

Francesca Mistè

guinea bissau

2 commenti su “La mia avventura in Guinea Bissau”

I commenti sono chiusi.